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Hippie Birthday Woodstock ’69! Il più grande raduno rock di tutti i tempi compie 54 anni

Hippie Birthday Woodstock ’69! Il più grande raduno rock di tutti i tempi compie 54 anni

Lot of freaks! Ah ah (Arlo Guthrie, dopo essere sceso dall’elicottero che lo aveva portato a Woodstock)

Woodstock ’69 è stato un evento epocale, uno di quei momenti della storia della musica che difficilmente riesci a toglierti dalla testa, sia per chi ha avuto la fortuna (o sfortuna? dipende dai punti di vista, questione che andremo ad approfondire più avanti) di prendervi parte, sia per chi, come me, ne ha potuto godere delle vibrazioni solamente in differita e attraverso supporti quali dischi e VHS (ebbene sì, ho ancora il VHS originale di quel concerto, acquistato negli anni Novanta, stra-consumato per tutte le volte che l’ho visto e conservato a mo’ di sacra reliquia nel mio piccolo ed amatissimo archivio di musica).

Su quel festival – forse il concerto più importante di sempre che ha cambiato definitivamente le coordinate della cultura della fruizione del rock dal vivo – è stato scritto davvero di tutto, e si continuerà a farlo finché esisterà chi ama la musica, come è giusto che sia, non solo per la portata notevole dei suoi contenuti artistico-musicali, ma anche in quanto esso è stato un importantissimo e fondamentale veicolatore di messaggi politico-sociologici di una certa rilevanza.

La Fiera della Musica e delle Arti di Woodstock si svolse a Bethel, una piccola città rurale nello stato di New York, dal 15 al 18 agosto del 1969, all’apice della diffusione della cultura hippie. Vi si riferisce spesso con l’espressione 3 Days of Peace Love & Music (a cui aggiungerei anche due altri elementi non meno caratterizzanti, ossia Drugs e Mud), ma in realtà i giorni furono in totale 4, infatti Jimi Hendrix fu l’ultimo ad esibirsi alle 9 del mattino di lunedì 18 agosto.

Pensate che per festeggiare il cinquantenario era in programma un Woodstock 50, solo che nella notte tra il 1 e il 2 agosto gli organizzatori hanno cancellato l’evento “per sopraggiunti ed insormontabili problemi organizzativi”.

Di quel festival epico tutti solitamente sono portati a ricordarne i lati positivi, di cui ovviamente fa parte la meravigliosa colonna sonora che ne fu protagonista, ma quasi nessuno sa o comunque vuole rimembrare le enormi difficoltà cui andarono incontro gli organizzatori all’epoca.

Il concertone si fece grazie all’incontro di quattro personalità: Alex Lang (manager di gruppi rock minori), Artie Kornfeld (un discografico della Capitol Records) e due ricchi uomini d’affari, ovvero l’avvocato Joel Rosenman e l’ereditiero John Roberts. Inizialmente, i quattro avevano intenzione di dar vita ad uno studio di registrazione a Woodstock, ma poco dopo quell’idea venne abbandonata a favore di un’altra: organizzare un festival che in seguito si rivelò dalle portate colossali.

I problemi non tardarono ad arrivare: dopo che furono stipulati svariati contratti con artisti e band, qualche settimana prima dell’inizio previsto, non si riuscì a trovare un posto dove poter organizzare il festival, perché a Woodstock e dintorni le amministrazioni comunali e la popolazione temevano l’invasione hippie.

Per fortuna l’ok arrivò da Max Yasgur, proprietario di un caseificio di Bethel, che concesse il suo terreno in affitto. Ma si trattò dell’ultima buona notizia per gli organizzatori, che quando finì tutto si ritrovarono con un buco da due milioni di dollari ripianati solo all’inizio degli anni Ottanta grazie ai proventi dei diritti discografici e cinematografici.

Per quanto riguarda la folla che arrivò al concerto, essa fu sin da subito incontenibile, e almeno trecentomila persone entrarono gratis nell’area del concerto. Le strade che portavano al posto erano bloccate per la formazione di code chilometriche di veicoli e gente, e gli unici mezzi che consentirono ai musicisti di raggiungere Bethel furono gli elicotteri.

Di seguito, uno spezzone del film – documentario su Woodstock ’69 in cui si vede Arlo Guthrie arrivare in elicottero (se volete saperne di più sulla sua performance, vi invito a leggere un altro mio articolo QUI).

A livello organizzativo, dunque, fu un gigantesco flop: scarseggiavano i bagni, il cibo, l’acqua e l’assistenza medica (provvidenziale fu l’intervento di centinaia di volontari e abitanti del posto che garantirono cure, coperte, torte e sandwich al mezzo milione di presenti). E come se non bastasse, arrivò anche la pioggia, che trasformò il terreno in un’enorme distesa di fango. Il tutto condito da grandi quantitativi di droghe che giravano liberamente, si narra addirittura che qualcuno nel backstage avesse “corretto” con allucinogeni le bevande di alcuni musicisti.

Racconta Eddie Kramer,  il produttore incaricato di registrare l’audio di tutte le esibizioni:

Artisti, manager, security, staff: erano tutti fuori di testa. A un certo punto un mixer prese fuoco e gli addetti alla sicurezza, in preda all’lsd, iniziarono a danzargli intorno. ‘Nessuno lo spegne?’ osai chiedere. ‘Noi non rubiamo il lavoro alle nuvole’ fu la risposta…”.

Di seguito, uno dei momenti più alti di Woodstock ’69, la celebre performance di Richie Havens, che fu costretto a suonare per tre ore di fila in attesa dell’arrivo degli altri artisti che ovviamente tardavano ad arrivare per il traffico (anche su questa performance ho scritto un articolo, se vi va di approfondire potete cliccare QUI).


Fonte immagine in evidenza: https://www.flickr.com/photos/serrvill/46771091455


 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato il: 15/08/2023 da Skatèna