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Ucraina, Usa, Biden, Meloni e la “variante Trump”

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Donald Trump, in un editoriale su “Newsweek”, si esprime in maniera molto chiara sulla guerra in Ucraina. Alla luce dei sondaggi che iniziano ad uscire sulle presidenziali Usa 2024, potrebbe essere un problema: per l’Europa, ed in particolare per l’Italia.

di Alessio Ramaccioni

Qualche giorno fa, sul sito della rivista Newsweek, è stato pubblicato un articolo firmato da Donald Trump. Una sorta di editoriale, con il quale l’ex presidente degli Stati Uniti torna a parlare della persecuzione che lui stesso avrebbe subito tramite il Russiagate, l’inchiesta sulle presunte interferenze da parte della Russia nella sua vittoria elettorale del 2016. Una vicenda complessa e poco chiara: l’inchiesta infatti non risolse il dubbio. Il rapporto finale, come dichiarato dal procuratore speciale Mueller, che lo ha redatto, “non dimostrava la colpevolezza di Trump, ma nemmeno lo scagionava”. Successive inchieste, poi, confutarono o confermarono l’ipotesi di collusioni tra l’entourage di Trump e la Russia, non giungendo mai però ad un chiarimento definitivo della questione. Che, specifichiamo, fa riferimento ad una fattispecie di reato molto grave, per un ex presidente: il tradimento.

Russiagate e guerra in Ucraina

Al netto della polemica, quello che interessa dell’articolo è il collegamento che Trump esprime molto chiaramente tra l’inchiesta e la guerra in Ucraina: “In un momento critico, quando avremmo dovuto ridurre le tensioni con la Russia, il ‘Russia Hoax’ (così Trump e i suoi sostenitori definiscono l’inchiesta stessa) ha alimentato l’isteria di massa che ha contribuito a spingere la Russia direttamente tra le braccia della Cina” scrive il magnate, che poi aggiunge: “Invece di avere un rapporto migliore con la Russia – a cui avevo lavorato, iniziandolo a costruire – ora siamo all’interno di una guerra per procura con Mosca, alimentata in parte dalle tesi deliranti del Russiagate. L’Ucraina è stata completamente devastata, un numero incalcolabile di persone è stato ucciso, e potremmo presto ritrovarci dentro la terza guerra mondiale”.

La politica di Trump, in effetti, fu caratterizzata da una normalizzazione dei rapporti con Putin: i “grandi nemici”, durante il suo mandato, erano la Cina e l’Iran, con Israele e le petromonarchie a soffiare sul fuoco di un escalation nei confronti di Teheran. La Russia è invece da anni nel mirino della politica estera dei democratici: prima – in qualche modo – attraverso il sostegno ai ribelli siriani in funzione anti Assad, storico alleato di Mosca; poi, con il finanziamento massiccio dell’Ucraina. Il rapporto tra i democratici americani e Kiev in realtà inizia alla fine del 2013: l’allora presidente Obama fu tra i primi a condannare la repressione delle proteste di EuroMaidan, che diedero il via al cambio di regime che portò alla guerra in Donbass e all’avvicinamento dell’Ucraina alla NATO.

Il ritorno di Donald Trump

Donald Trump, ad oggi, è in testa ai sondaggi come possibile candidato repubblicano alle elezioni presidenziali del 2024, e – sempre secondo alcune recenti rilevazioni – sarebbe avvantaggiato anche nella sfida finale con Biden. Se tutto ciò diventasse realtà, avremmo Trump alla Casa Bianca per un nuovo quadriennio, a partire dall’inizio del 2025. Nel caso in cui la guerra in Ucraina non fosse conclusa per quella data, sarebbe lui a dover gestire la delicata questione. In che modo? Il suo approccio tra il 2016 ed il 2020, unitamente alle dichiarazioni rilasciate negli anni successivi, portano ad immaginare un tipo di politica diverso da quello adottato dall’attuale amministrazione. La guerra in Ucraina potrebbe diventare una questione sempre più europea, senza l’enorme appoggio economico e militare che in questi anni è arrivato da Washington. Solo un ingresso dell’Ucraina nella NATO “costringerebbe” Trump a proseguire nel sostegno incondizionato a Kiev.

Nuovi scenari possibili: il governo ci sta pensando?

Quali sono, almeno a livello di dichiarazioni, i “grandi alleati” europei di Zelenski? Il Regno Unito, senza dubbio: ma subito dopo – insieme ad altre nazioni – c’è l’Italia. Sia il governo presieduto da Mario Draghi che quello attualmente in carica, guidato da Giorgia Meloni, non hanno mai espresso il minimo dubbio: sostegno totale all’Ucraina, e partecipazione convinta alle politiche NATO. La recente visita della nostra presidente del Consiglio negli Stati Uniti ha ribadito questa posizione, e l’assoluta condivisione della visione strategica americana.

Ma nel caso di un ritorno di Trump – a cui tra l’altro la Meloni ha sempre espresso sostegno, ricevendo apprezzamento da lui e dal suo blocco elettorale – come si posizionerà il nostro paese? Se gli Stati Uniti a guida repubblicana decidessero di normalizzare di nuovo i rapporti con Mosca, allontanandosi quindi necessariamente da Kiev, quale scelta farà il nostro governo, sopratutto nel caso in cui sia ancora quello attuale? La classica “giravolta” di rito, “caro Zelenski, l’importante è la pace, caro Putin abbiamo scherzato”? La questione è seria, perché la prospettiva di un disimpegno americano e di una conseguente necessaria gestione europea della crisi Ucraina esiste, e l’Italia si è posizionata nel frattempo in modo molto esplicito: forse troppo, per poter tornare indietro come se niente fosse. A palazzo Chigi si sta ragionando su questa possibilità? Speriamo di si, perché altrimenti di qui a due anni c’è il rischio di doversi assumere la responsabilità di coprire gli oltre 73 miliardi di dollari finora spesi da Washington per il sostegno all’Ucraina, e di dover gestire una guerra europea senza il comodo paracadute del potente alleato d’oltreoceano.

Pubblicato il: 07/08/2023 da Alessio Ramaccioni