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La guerra diventa “green”: 50 miliardi di fondi sostenibili finiti in carri armati e droni

La guerra diventa “green”: 50 miliardi di fondi sostenibili finiti in carri armati e droni

Dall’inchiesta coordinata da Voxeurop emerge un paradosso orwelliano: grazie a un’intensa attività di lobbying e alla spinta della Commissione UE, l’industria bellica è entrata a pieno titolo nei portafogli ESG. E il “risparmio etico” finisce col finanziare il genocidio a Gaza.

di Giacomo Simoncelli

“La guerra è pace”: lo slogan orwelliano è diventato una strategia finanziaria nei corridoi di Bruxelles. E la Commissione europea, a braccetto con l’industria della difesa, è riuscita a trasformare mitraglie, droni, bombe e carri armati in attività “sostenibili”. Attraverso un’attenta attività di lobbying e con il sostegno dei vertici europei, negli ultimi anni il mercato degli investimenti ESG (Environmental, Social, and Governance) si è aperto alla produzione di armamenti. Così, un fiume di denaro destinato alla transizione ecologica e alla risoluzione di problemi sociali è stato deviato verso la realizzazione di strumenti di morte.

Sono queste le conclusioni che devono essere tratte da un’inchiesta di Giorgio Michalopoulos e Stefano Valentino, coordinata da Voxeurop grazie anche a contributi di El País (Spagna), IrpiMedia (Italia) e Mediapart (Francia), e a una sovvenzione del fondo Investigative Journalism for Europe (IJ4EU). I dati ricostruiti dai giornalisti sono impressionati. In soli quattro anni, gli investimenti classificati come “sostenibili” finiti nell’industria bellica sono più che triplicati, passando da 14,5 miliardi di euro nel 2021 a quasi 50 miliardi nel 2025.

La metà di questi soldi sono finiti nelle tasche di 27 compagnie del complesso militare-industriale europeo. In testa c’è la francese Safran, con 5,6 miliardi di euro, mentre, ad esempio, sia Rheinmetall sia Airbus si sono spartiti intorno ai 4 miliardi. Nella lista sono presenti anche le italiane Leonardo e Fincantieri, rispettivamente con 788 milioni e 111 milioni. I giornalisti si concentrano proprio sulle realtà del Vecchio Continente, perché i documenti raccolti rivelano come la Commissione Europea abbia attivamente favorito la trasformazione delle armi in investimenti “verdi”, usando anche metodi poco trasparenti verso chi ha sollevato critiche.

Come ha spiegato Nicola Koch, dell’ONG Sustainable Finance Observatory, “i produttori di armi non possono rientrare nella definizione di investimenti sostenibili perché la funzione ultima dei loro prodotti è quella di ferire, distruggere o uccidere, provocando così impatti negativi sulla vita umana e sugli ecosistemi che non sono in linea con i principi dello sviluppo sostenibile”. Semplice, lineare, inattaccabile. Per ribaltare questa realtà incontrovertibile, la Commissione ha sfruttato le maglie del regolamento SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation).

La logica adottata da Bruxelles è riassunta nello slogan: “non c’è sostenibilità senza sicurezza”. Una formula piuttosto generica, che varrebbe anche nel caso in cui venisse ribaltato l’ordine degli addendi, e in cui la sicurezza è considerata unicamente come difesa armata (che le minacce siano reali o anche solo propagandate). Ma tant’è bastato per far passare abbastanza velocemente l’idea che l’industria degli armamenti fosse a pieno titolo una produzione “sostenibile”.

Il cambio di paradigma non è avvenuto senza resistenze, ma le voci critiche sembrano essere state sistematicamente ignorate, se non addirittura silenziate. Emblematico è il caso di Tommy Piemonte, manager della banca tedesca Pax-Bank für Kirche und Caritas – “Banca della pace per la chiesa e la carità” –, espulso dal Forum organizzato dalla Commissione nel novembre 2024 intitolato “Investire nella difesa e nella sicurezza dell’Ue: una nuova priorità politica”.

Piemonte, che partecipava alla riunione online e rappresentava anche l’associazione per lo sviluppo sostenibile Shareholders for Change (“Azionisti per il cambiamento”), aveva chiesto come mai si lavorasse così alacramente per far etichettare l’industria delle armi come sostenibile. Dopo aver chiesto risposte alle sue domande, per quanto fossero critiche, è stato cacciato senza preavviso. “Sei stato allontanato perché stavi disturbando la riunione”, gli hanno spiegato via mail gli organizzatori.

Questo non è un caso eccezionale. Documenti interni rivelano che dal 2021 l’ASD, l’Associazione europea delle industrie della difesa, ha lavorato incessantemente per eliminare lo stigma finanziario sulle armi, e una sponda fertile in questo processo è stata trovata nei commissari UE. Insomma, il Green Deal si stava già trasformando in riarmo. Con l’avvio delle operazioni militari russe in Ucraina questa tendenza si è rafforzata velocemente, fino alla più recente novità: sotto l’etichetta ESG, da fine novembre, sono considerate anche armi incendiarie, munizioni all’uranio impoverito e persino armi nucleari.

Non deve sorprendere che strumenti che possono letteralmente radere al suolo un ambiente vengano considerati “sostenibili” se si pensa che la principale società bellica israeliana, la Elbit Systems, è riuscita ad accaparrarsi finanziamenti ESG. Nel 2025, ben 25 fondi verdi hanno investito 23 milioni di euro nella società, il cui valore in borsa è raddoppiato dall’ottobre 2023. E così potrebbe accadere che i risparmiatori europei si ritrovino a finanziare un genocidio mentre investono in fondi che si fregiano di lavorare per il rispetto dei diritti umani.

Con questa inchiesta, si rivela come la UE sia ormai pienamente un’istituzione da 1984, il libro di Orwell, per la quale il riarmo è l’unica verità, l’uranio impoverito è sostenibile, e la pulizia etnica può diventare una scelta etica.

Pubblicato il: 23/12/2025 da Giacomo Simoncelli

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