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I pilastri del patto di governo: premierato, autonomia e separazione delle carriere.

I pilastri del patto di governo: premierato, autonomia e separazione delle carriere.

Lo stato delle tre proposte fondanti del governo Meloni.

di Eugenio Fofi

Il presidenzialismo, l’autonomia differenziata e la separazione delle carriere sono le tre proposte politiche su cui si fonda e si regge il “patto di governo”. Come dei novelli Re Magi, Meloni Tajani e Salvini vorrebbero portare al Quirinale i tre doni per la nascita di una nuova Italia. Rispettivamente premierato per Fratelli d’Italia, autonomia differenziata per la Lega e la separazione delle carriere per Forza Italia.

Premierato
La riforma costituzionale di Fratelli d’Italia era inizialmente stata pensata e proposta nel 2022 in forma diversa da quella attuale, utilizzando le parole della stessa Giorgia Meloni alla Camera il 10/05/2022: “semipresidenzialismo alla francese, con un Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini che presiede il Consiglio dei Ministri, che dirige la politica generale del governo, coordinando l’attività dei ministri insieme al Presidente del Consiglio”. Si trattava di fatto di un super Presidente della Repubblica in grado di modificare l’andamento stesso della legislazione. Nel 2023, con il passaggio dall’opposizione al
governo la riforma cambia una prima volta, nell’audizione alla Camera del 9 maggio infatti, si ribadisce che la proposta vedrà una rafforzamento dei poteri di un Presidente, senza specificare se quello del Consiglio o quello della Repubblica, e che l’elezione dovrà essere diretta. Alcune forze politiche sfruttano la questione fumosa per giocare a chi è a favore e chi è contro, tra i principali Italia Viva, favorevole all’elezione diretta del Presidente del Consiglio, e Lega contraria all’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Ma basta poco per mettere tutti d’accordo. Sarà la stessa Premier ad annunciare il 3 novembre dello stesso anno
l’ultima forma della riforma costituzionale proposta da Fratelli d’Italia: l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, elezione che avverrebbe insieme all’elezione delle altre Camere del Parlamento, nella stessa scheda. Si va, in questo modo, ad impedire l’elezione di “esterni” nominati dal Presidente della Repubblica tecnici, come Draghi o Monti, o partitici, come è stato il caso dei due governi Conte. Inoltre, il Presidente del Consiglio rimarrebbe in carica per cinque anni, impedendo un cambio di direzione, sarebbe in questo modo possibile sostituire i ministri. Infine la riforma intende ritornare a un sistema fortemente maggioritario, assegnando un premio del 55% dei seggi alla maggioranza, non potranno più essere nominati i senatori a vita, questa carica spetterà solo agli ex capi di stato. Attualmente la riforma è stata approvata il 19 giugno del 2024 al Senato e necessita di una seconda approvazione alla Camera. Sicuramente ci sarà anche la richiesta di un referendum popolare “confermativo” (come fu per la riforma costituzionale di Renzi).

Autonomia differenziata
La proposta di legge “cara alla Lega storica” punta a rimarcare le differenza tra le regioni e a formarne di nuove. Ogni regione potrà decidere le materie (sanità, istruzione, trasporti, ecc) di cui vuole prendersi carico in autonomia. L’unico vincolo sarà quello di garantire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), ossia per ogni materia lo Stato determina un livello minimo di prestazione e la regione, che abbia scelto di fornire quel servizio in autonomia o meno, dovrà garantire quel livello minimo o un livello più alto.
Tra il 18 e il 19 novembre il ministro Calderoli (Affari regionali e Autonomie) ha firmato quattro accordi preliminari con Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria per dare inizio alle prime intese su materie secondarie rispetto ai LEP, come tariffe per i rimborsi per le aziende sanitarie o la possibilità che il Presidente di Regione possa diventare commissario in caso di emergenze che coinvolgono il territorio. Accordi che non sono definitivi perché la riforma è ferma da quando la Corte Costituzionale ha bocciato alcune parti del testo. Nello specifico la parte che consente di far concordare singolarmente i LEP per ogni regione, a tutti i cittadini deve essere garantito lo stesso livello di prestazioni minimo. Il governo non è intenzionato a rinunciare. Infatti, a settembre è stato presentato in Senato un nuovo disegno di legge per definire i LEP a livello nazionale.

Separazione delle carriere
Ultima dei tre pilastri del “patto di governo” è la separazione delle carriere dei magistrati. La riforma costituzionale “avanzata da Forza Italia”, presente già nel programma per le elezioni politiche di Berlusconi del 1994, punta a dividere le carriere dei magistrati requirenti (pm) dai magistrati giudicanti (giudici), dividendo formazione e organo di controllo e governo degli stessi. Sono previsti infatti, anche due CSM (consiglio superiore della magistratura), uno per i pm e uno per i giudici. Entrambi saranno presieduti dal Presidente della Repubblica e composti dal Presidente della Corte di Cassazione (nel CSM per i magistrati
requirenti) e dal Procuratore generale della Corte di Cassazione (nel CSM per i magistrati giudicanti). Gli altri membri dei due consigli saranno estratti a sorte per i due terzi da magistrati (pm per i pm e giudici per i giudici) e per un terzo da un elenco di professori e avvocati compilato dal Parlamento. Questi ultimi vedranno un secondo sorteggio per il ruolo di vicepresidente di ciascun CSM. Ultima è l’istituzione di un’ulteriore organo disciplinare superiore ai due CSM: l’alta corte, composta da 3 componenti nominati dal Presidente della Repubblica, 3 estratti a sorte da un elenco compilato dal Parlamento, 6 componenti
estratti a sorte tra magistrati giudicanti con requisiti specifici e 3 componenti estratti a sorte tra i magistrati requirenti, anch’essi con requisiti specifici. La riforma costituzionale della separazione delle carriere ha già superato l’approvazione dei due rami del
Parlamento, non avendo però superato i due terzi dei voti favorevoli, la riforma dovrà passare per il voto popolare. Un referendum che potrebbe arrivare già questa primavera (tra marzo e aprile 2026) e che sarà confermativa: senza quorum e votando “sì” si approva la legge, mentre votando “no” la si respinge.

Pubblicato il: 28/11/2025 da Alessio Ramaccioni