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“Project Sunrise”. Gaza tra speculazione, controllo coloniale e pulizia etnica

“Project Sunrise”. Gaza tra speculazione, controllo coloniale e pulizia etnica

Dalle macerie della guerra emerge il piano dell’amministrazione Trump: 112 miliardi di dollari per trasformare la Striscia nella “Riviera del Medio Oriente”. Ma il progetto ignora i diritti del popolo palestinese e si scontra con una realtà di fame e distruzione.

di Giacomo Simoncelli

Mentre sul terreno Israele continua a lasciare vittime e i neonati muoiono di ipotermia, a Washington prende forma l’idea della “nuova colonia” di Gaza. Si chiama “Project Sunrise”, un piano spacciato come ricostruzione da 112,1 miliardi di dollari in dieci anni, rivelato dal Wall Street Journal, che punta a trasformare l’enclave palestinese in una metropoli costiera all’avanguardia, trasformandola in una sorta di vetrina economica nel cuore del Mediterraneo.

Il progetto, contenuto in un PowerPoint di 32 pagine che sarebbe stato partorito dall’immobiliarista e genero di Trump, Jared Kushner, e dall’inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff, mostra resort di lusso, grattacieli sul mare, treni ad alta velocità e un ampio uso dell’intelligenza artificiale. Il cuore del progetto sarebbe “New Rafah”, una capitale amministrativa concepita ex novo per ospitare mezzo milione di abitanti, con oltre 100.000 unità abitative, 200 scuole e 180 moschee.

L’idea è quella di una “Smart City”, quello che sentiamo dire per Milano, che dovrebbe infine riuscire ad autofinanziarsi nel lungo periodo grazie allo sviluppo dell’industria locale e del turismo. Ma il tema che viene coperto con un velo di rilancio economico è il politicidio totale delle ragioni che hanno mosso la resistenza palestinese, negli ultimi decenni come negli ultimi due anni di genocidio: non c’è posto in questo progetto per l’autodeterminazione del popolo palestinese.

Gaza viene trattata semplicemente come fosse un foglio bianco da riscrivere. Ricostruzione in cambio di qualsiasi rivendicazione di sovranità sul proprio futuro. Una delle condizioni non negoziabili non può che essere, dunque, la completa smilitarizzazione di Hamas. Una clausola che, però, molti analisti credono sia un prerequisito insormontabile: se Israele non ci è riuscito radendo al suolo la Striscia e uccidendo centinaia di persone al giorno, non sembra qualcosa di raggiungibile a breve termine.

Ad ogni modo, tornando al progetto, uno dei punti più controversi riguarda la concentrazione della popolazione a sud, attorno alla futura New Rafah. Se ufficialmente si parla di una scelta funzionale alla ricostruzione graduale del resto della Striscia, molti commentatori hanno visto in questa mossa una forma indiretta di trasferimento forzato, e dunque di pulizia etnica. Invece di ricostruire il tessuto sociale e storico dei quartieri distrutti, si punta a creare un nuovo centro di controllo, cristallizzando nuove disuguaglianze e cancellando la continuità sociale del territorio.

Mentre il team di Kushner calcola un faraonico ritorno sugli investimenti (sono stati previsti ben 55 miliardi nei primi dieci anni), Washington si dichiarerebbe pronta a coprire circa 60 miliardi di dollari tra sovvenzioni e garanzie varie, cercando il coinvolgimento di partner regionali come Arabia Saudita, Emirati, Turchia ed Egitto. Ma senza una cornice di diritti certi e una soluzione politica al conflitto coloniale, la “Riviera del Medio Oriente” è ancora – e per fortuna – solo una scintillante operazione di marketing immobiliare sopra una crisi politica irrisolta.

Pubblicato il: 21/12/2025 da Giacomo Simoncelli

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