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RAVE ME TENDER – Il teknival in 10 discipline secondo Vanni Santoni

RAVE ME TENDER – Il teknival in 10 discipline secondo Vanni Santoni

a cura di Skatèna

Riporto un articolo di Vanni Santoni pubblicato nel 2012 sul blog di approfondimento culturale minimaetmoralia.it (originariamente era stato pubblicato su SlipperypondeMucchio Selvaggio).

Nell’agosto 2007 Santoni scriveva questo disclaimer:

“I free party esistono da una quindicina d’anni, oggi è solo che se ne sono accorti anche i mass-media. Va da sé che finora su di essi sono state dette molte cose, quasi sempre sbagliate. È quindi facile scadere nel luogo comune o nell’apologia: per questo mi immedesimerò in qualcuno che non è mai stato a un teknival e cercherò di analizzare l’evento andando con ordine, per discipline.”

Oggi – continua l’autore – a distanza di cinque anni, è opportuna una ulteriore nota: in seguito a una campagna repressiva, non sempre effettuata con metodi puliti (sequestro dei sound, denuncia per “invasione” di normali partecipanti, etc.), alla cattiva stampa ricevuta dal movimento (dovuta anche all’eccessiva visibilità guadagnata in quegli anni, nociva per qualcosa nato e pensato per essere sotterraneo), e anche a un decadimento fisiologico di parte del movimento stesso, oggi la cultura rave in Italia è gravemente mutilata. Sempre più tribe si spostano in paesi più tolleranti quali Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Bulgaria, e in Italia non si è più verificato un evento della portata di questo teknival di Pinerolo. Il presente reportage assume dunque, a cinque anni dalla sua stesura, un interesse storico, più che sociologico. 

I – Cronaca

Nei giorni compresi tra venerdì 10 agosto e giovedì 16 agosto si è svolto a Baudenasca, nei pressi di Pinerolo, il teknival 2007. Per “teknival” si intende un rave party di enormi dimensioni, al quale prendono parte molte delle tribe techno più rilevanti del panorama musicale underground. Il luogo scelto dai raver è stato l’ex ballatoio della caserma Nizza Cavalleria, che, come da prassi, è stato reso noto solo all’ultimo momento. I primi partecipanti sono arrivati sul posto nella notte di venerdì. Sabato sera le presenze erano già dodicimila circa, per toccare una punta stimata di trentamila nella notte di ferragosto. Tra i partecipanti, la metà circa erano italiani; tra gli stranieri, netta predominanza francese con una discreta presenza di tedeschi, spagnoli, olandesi e cechi.
La festa, nonostante l’assenza di servizi e regole, e l’afflusso senza precedenti per l’Italia, si è svolta nella massima armonia: non si è segnalato alcun incidente, nessun episodio violento e nessuna emergenza sanitaria. Solo una ventina i fermati, per lo più per possesso di stupefacenti.
Nonostante l’isteria mediatica che ha accompagnato l’evento, la popolazione del luogo ha accettato la cosa alternando curiosità e fastidio, stupore e tolleranza; qualche politico di destra ha gridato all’allarme ma è stato smentito dai fatti, mentre il sindaco di Pinerolo, pur facendo presente di non gradire la cosa, si è mostrato persona responsabile fornendo autobotti e bagni chimici.

II – Storia 

Non è questa la sede per discutere la storia dei free party (ci vorrebbe un articolo intero, e molte questioni rimarrebbero comunque aperte): basti sapere che la faccenda comincia una decina di anni fa, che i soundsystem li inventarono i giamaicani mentre la techno moderna nasce a Detroit negli anni ’80 (e la free tekno in Europa un decennio più tardi), che il movimento rave era stato dato per morto già da quattro-cinque anni e che il teknival dello scorso agosto aveva avuto luogo nel pavese. Per un’infarinatura in merito rimandiamo ai seguenti link: a. b. c. d.

III – Geografia


La location scelta non è esattamente un paradiso: si tratta della zona attigua alla caserma Nizza Cavalleria, una spianata da esercitazioni che alterna prati brulli, macchie a acacie e l’argine di un fiume. Da un lato cade subito l’immagine di violatori della natura incontaminata affibbiata ai raver da parte di alcuni organi di stampa, dall’altro appare innegabile che il costo della ripulitura di un’area così vasta non sarà irrisorio.
Il luogo era già stato teatro di un teknival, seppur di dimensioni minori, nel 2005. Pinerolo città dista qualche chilometro. La popolazione si mostra molto meno incattivita di quanto la dipingano i giornali. Notiamo anzi una certa curiosità: non solo i negozianti e i passanti chiedono, si interessano, esprimono dubbi e perplessità, ma molti vanno a constatare di persona cosa stia accadendo. Un paio di baristi spiccano per la loro attitudine “pro-rave” – sicuramente c’entra il volume di affari moltiplicato, ma un ruolo ce l’ha anche lo scoprire che il teknuso non è il vandalo assetato di sangue di cui parlano i giornali ma (solitamente) una persona piuttosto allegra e gentile. Carabinieri, polizia e finanza controllano a distanza, dedicandosi per lo più alla perquisizione delle auto, in un dispiegamento di forze che appare comunque esagerato per un evento pacifico.

IV – Urbanistica


La prima cosa che colpisce del teknival 2007 sono le dimensioni (nella foto non se ne vede che una piccola parte). Proprio mentre si discute da tempo della fine del movimento, il movimento dà vita alla sua festa più grande. Il baccanale si estende per qualche chilometro, con vari punti-chiave. Sostanzialmente si tratta di una vera e propria città artificiale: il progressivo collocamento di bancarelle, furgoni e auto forma le strade; i soundsystem più grossi fungono da piazze; i boschi punteggiati di tende e furgoni sono i sobborghi. Alcuni soundsystem, come quello combinato da Hazard Unitz, Sbandao Bullets e altri, colpiscono per potenza e grandezza: a vedere questi muri di casse alti quattro o cinque metri e lunghi trenta, non possono non venire in mente le economie di scala, spostate dall’industria manifatturiera alla tekno.

V – Economia


Ogni città ha una sua economia. Quella del teknival è una microeconomia, che ricorda da vicino i suq nordafricani. Ovunque spuntano banchetti che vendono di tutto, dalle bottiglie d’acqua ai monili, dal cous-cous alle sostanze psicotrope. Alcuni offrono un singolo prodotto, come il banchetto della frutta, altri cambiano business con l’evolversi della festa: Marianna, trentadue anni, da Perugia, alle 19:30 vende hamburger; venderà speed alle 23:00 e caffè e buondì alle 8:00. C’è pure un tipo che vende una moto. Colpisce vedere banchetti che espongono cartelloni con listini del tipo “Speed: 10€ – MDMA(capsule): 10€ – Ketamina: 35€,” e non tanto perchè non si è soliti vedere sostanze illegali vendute come zucchine al mercato, ma anche per i prezzi popolari a cui vengono proposte. Non c’è grande speculazione nello spaccio, al teknival: basta osservare la perizia con cui il tipo della ketamina prepara le buste, mostrando preciso a ogni cliente il peso della tara, per capire che il suo atteggiamento è quello di chi sta svolgendo un servizio. Liz, ventiquattro anni, belga, vende cristalli di MDMA: mezzo grammo, 30 euro. “Quanto ci guadagni?” “Mi rifaccio le spese del viaggio e qualche extra.”
C’è spazio per un po’ di imprenditoria, sia reale (René, francese, vende abiti di sua creazione; Sara e Teo, romani, braccialetti d’acciaio forgiati in casa) che ironica (un tipo ha inventato il “turbonose,” una specie di aspirapolvere in miniatura: “il regalo perfetto per chi pippa troppa speed,” ci spiega).

VI – Politica


È chiaro che una manifestazione sudicia e chiassosa in cui si consumano sostanze illecite e in cui sostanzialmente ognuno fa quel che gli pare (anche giocare impunemente a Street Fighter II, come documenta questa drammatica immagine) non sia troppo gradita alle istituzioni. È anche vero, però, che il fatto che un motore a sostanze chimiche da decine di migliaia di persone giri per sei giorni senza alcun incidente, dovrebbe quantomeno portare a riconsiderare l’effettiva dannosità di alcune di tali sostanze (Lancet lo ha fatto, i giornalisti italiani molto meno). Quella delle droghe pare comunque una facile scappatoia per criticare: del resto un po’ tutti si sono ormai resi conto che nella società contemporanea le droghe sono ovunque, e qui è solo più visibile che altrove. Alcuni tra i critici della manifestazione se ne rendono conto e preferiscono allora puntare il dito sulla sporcizia (Innegabile. Ma indignarsi per qualche sacco di spazzatura in un campo, quando tutte le città italiane sforano il limite di PM10 non appare un po’ grottesco?) o sull’assenza di misure di sicurezza (questa, pure, è vera, ma una misura di sicurezza c’era: il rispetto. Al teknival se qualcuno anche solo ti sfiora, è subito tutto uno scusarsi, un darsi la mano, un offrire un sorso d’acqua o un tiro di sigaretta o di canna).
Se le critiche da destra non stupiscono, danno più da pensare quelle da sinistra. Il rave non è sgradito solo a quella sinistra che, per necessità di governo e logiche di potere, diventa molto simile alla destra: anche quella sinistra cosiddetta “radicale”, in teoria vicina a qualunque movimentismo, fa molta fatica a capire tutta questa storia dei rave. A pensarci bene, però, è piuttosto ovvio: il marxista – o il postmarxista – non è in grado di spiegarsi un movimento che rifiuta aprioristicamente una logica di cambiamento: l’utopia tekno è “qui e ora”, il momento psichedelico è realizzato nella visione, e non ha pretese di cambiamento del sistema che rifiuta. La festa è qui, adesso, e quando finisce, tutti a casa. La tekno crea la sua area di utopia, non cerca proseliti, non vuole la rivoluzione: la sua rivoluzione c’è già, e dura una notte (o sei). Aggiungiamoci che il movimento tekno rifiuta violentemente un’etica del lavoro ancora ben radicata nell’estrema sinistra, e la frittata è fatta: è evidente che dal punto di vista di chi ha una formazione marxista questo non può essere un movimento “politico.” Eppure lo è: il teknival, pur non volendolo essere programmaticamente, è una manifestazione antiproibizionista e una dimostrazione di democrazia diretta (o di pirateria sociale, a seconda dei punti di vista), dal momento che grazie alla volontà di una massa di persone, vengono fissate temporaneamente nuove leggi alla faccia del “sistema”.
Volendo dare etichette, il movimento tekno è senz’altro collocabile nell’area dell’anarchismo, ma è un anarchismo per nulla incazzato, mistico senza essere misticheggiante, individualista e collettivo insieme, edonista e sensuale ma non sessuale (non si può non notare la generale monogamia del teknuso). I testi filosofici che più si avvicinano alla Weltanschauung del movimento tekno sono Walden di Thoreau e T.A.Z. di Hakim Bey, ma voler trovare un collegamento diretto sarebbe una forzatura. Dice Marek, 24 anni, operaio, madre italiana e padre serbo: “Quello che ci interessa è fare baldoria, creare almeno per una sera un’alternativa alla pappa che ci vogliono imporre. Ho preso due giorni di ferie per venire qua da Vienna, dove lavoro. Le droghe? I bar di tutta Europa spacciano ogni giorno una droga pesante che da sola fa mille volte più morti di tutte le droghe chimiche messe insieme.”

VII – Chimica

Il teknival non esisterebbe senza sostanze. Stimolanti e psichedelici sono il nocciolo della questione almeno quanto la musica. Spiega Erik, da Grenoble: “Il legame tra sostanze e movimento tekno non è casuale. Non dico che non si possa apprezzare la nostra musica senza certe sostanze, ma è innegabile che tra MDMA, speed, e musica tekno c’è una sinergia che è fin troppo ovvia a chi ha provato e che rimarrà ignota a chi non lo ha fatto.”
Le droghe intorno a cui gira il teknival sono fondamentalmente quattro (anche se oppio e coca non mancano, sono meno definitorie): MDMA, LSD, speed e ketamina. I ruoli di ciascuna sono piuttosto definiti: l’MDMA è la droga per ballare per eccellenza: la sua diffusione che accompagna la nascita del movimento, e il suo effetto empatogeno ed entactogeno contribuisce a creare il clima da fratellanza universale tipico del free party. L’LSD potenzia le percezioni e incrementa la portata mistica dell’esperienza (già il suo creatore, Albert Hofmann, spiegava che l’acido lisergico riproduce le sensazioni ottenibili dopo un ventennio di pratica di meditazione trascendentale), la speed non è che carburante: metanfetamine per stare svegli, sopportare la fatica e ballare a oltranza, anche quando l’MDMA, che dura solo quattro-cinque ore, va giù. La ketamina, un anestetico pediatrico e veterinario riscoperto dal popolo dei rave (dopo John Lily) dissocia e crea nuove significanze (per alcuni, come Margherita, ventisei anni, ricercatrice bolognese, “sostituisce l’acido: mi dà quella profondità mistica che cerco nell’esperienza senza farmi star fuori per otto ore,” per altri, come Elena, diciannove anni, dalla Val di Pesa, “è il succo di tutta l’esperienza: trasforma il ballo in un’esperienza trascendente, spazializza la percezione del proprio corpo, e al tempo stesso fonde la mente con l’ambiente circostante”), oppure rimette in sesto chi è troppo “indurito” dagli stimolanti. Tutti si mostrano piuttosto competenti e consapevoli riguardo milligrammi, controindicazioni, interazioni ed effetti.
La canapa non è che un intercalare, neanche si nota. Si nota invece la relativa assenza di alcol (unica eccezione, oltre alle birre, l’assenzio che un anziano nomade molto poco tekno ci offre da un bottiglione d’argento). “Cerchiamo sensazioni,” spiega Rex, scozzese ventiquattrenne, “sarebbe assurdo assumere una sostanza come l’alcol, che le riduce e le ottunde”. Per ogni utente consapevole come Rex c’è anche un Pierre: “non sto troppo a calcolare cosa prendere, sono qui per sfasciarmi, haha.” La tendenza è il cocktail, ma ci sono anche i puristi: Matteo, ventotto anni, impiegato a Trento, assume solo LSD: “cerco un’esperienza innanzitutto estetica.”

VIII – Estetica


L’esperienza estetica, va detto, ci sarebbe anche senza psichedelici. Se si riesce a guardare oltre gli aspetti più superficiali (la polvere, i cani, la gente addormentata per terra), il teknival ha una caratterizzazione estetica molto forte. A modo suo ha classe, pochi discorsi. Sta tra Mad Max e Ken il guerriero, tra il cyberpunk e l’hippy, tra il primitivo e il post-urbano. Quello che esce dai sound (a onor di cronaca ricordiamo che a Pinerolo abbiamo sentito diversa robaccia ma anche molta musica elettronica di qualità eccezionale) è figlio tanto dei tamburi voodoo quanto dell’inesorabile filiera produttiva fordista. Anche la gente contribuisce all’effetto complessivo: se la direttiva principale è “fai come ti pare” (e infatti si va dallo splendore di una cybervenere al peggio tamarro in canotta), spicca una notevole personalizzazione individuale pur all’interno “direttive estetiche di movimento,” e complessivamente bisogna ammettere che, no, il popolo del teknival non è cattivo, sporco e brutto: è bello. Naike, ventitré anni, “studentessa in vacanza perenne,” parigina, ammette candidamente di “dedicare molto tempo alla cura del proprio aspetto fisico.” Oggi l’estetica rave stupisce meno che dieci anni fa, ma ha saputo rinnovarsi ed evolversi, rimanendo bella.
Ed ecco la questione chiave. Quello che i giornalisti non vi hanno detto, probabilmente solo perché se ne erano andati prima, è che quello che alcuni hanno definito “mefitico catino” (e lo è, di giorno), giunta finalmente notte, quando le decine di soundsystem iniziano a sparare al massimo e le luci stroboscopiche sono lame nel buio, quando ogni singolo DJ cerca di dare il meglio e tutti i ragazzi escono dalle tende, dalle auto, dagli accampamenti raffazzonati e dal bosco per piazzarsi sotto le casse, e tutto prende a battere all’unisono, il teknival diventa uno spettacolo di una bellezza straziante.

IX – Filosofia


Non è scontato provare a spiegare le ragioni profonde di un evento del genere. C’è chi ha trovato un parallelo tra i battiti delle sound e quello del cuore di una madre, spiegando il rave come un ritorno al ventre. C’è chi ha voluto vedere nell’uso puramente edonistico della tecnologia una critica al sistema industriale capitalistico. C’è chi ci vede piuttosto un rifiuto del divertimento massificato e mercificato, e chi una ricerca del delirio ad ogni costo. C’è chi ha provato a stilare un manifesto (interessante, ma certo non esaustivo) e chi un decalogo (troppo pratico per essere chiarificatore: “5. parcheggia bene…”). Sicuramente ci sono tutti questi elementi, ma la questione mistico-rituale è – almeno inconsciamente – dominante. Consideriamo i seguenti elementi:
– L’impianto scenografico-rituale (cos’altro aspettarsi da francesi e italiani?), con officiante, fedeli in linee orizzontali, luce dall’abside e transubstanziazione (in questo caso psichedelica) al centro dell’arco temporale, ricalca pari pari quello di una messa (e il profilo di un soundsystem quello di una cattedrale gotica, o di un organo),
– L’idea del raduno notturno, che di fatto celebra il mistero della notte per arrivare al trionfo del mattino, è una costante in gran parte delle religioni pagane.
– I battiti ritmati (ce lo insegna tanto il voodoo quanto lo sciamanesimo siberiano) e la trance da essi indotta sono da tempo immemore mezzi per avvicinarsi al divino.
– Le sostanze psichedeliche (questo ce lo insegnano tanto lo sciamanesimo messicano quanto i misteri eleusini greci) sono la porta per comunicare col mondo della trascendenza.
– I grandi raduni amplificano la suggestione e aiutano a lasciare l’individualità terrena in favore di una collettività spiritualizzata.
– Attraverso la condivisione di un momento rituale si cerca una purificazione interiore (in questo caso dalle imposizioni e dai valori della società dei consumi) e una ridefinizione del sé.
La differenza sostanziale è che il rito non è più un mezzo ma si sovrappone allo scopo: tutto è declinato al presente. L’era dell’acquario dei figli dei fiori si è accoppiata col “no future” dei punk, ed ecco il risultato.
Oppure la soluzione è più semplice, più alla portata. Dice Dino, settantadue anni, avventore di uno dei bar di Pinerolo più vicini alla curva per Baudenasca: “Se vengono a migliaia fino a quassù – oh – vorrà dire che i divertimenti che hanno a casa loro non gli piacciono più.”

X – Sociologia


Un dato oggettivo, infine, ci colpisce. Ce lo mostra Tania, ventotto anni, cagliaritana, dottoressa in storia da un anno, alle feste da dieci: “Dite quello che volete, ma questo è l’unico movimento genuino prodotto dagli anni ’90 e 2000. Non siamo nostalgici di qualche decennio passato: siamo – anzi, eravamo – contemporanei.”

Chi è Vanni Santoni

Vanni Santoni (1978), dopo l’esordio con Personaggi precari (RGB 2007, poi Voland 2013), ha pubblicato, tra gli altri, Gli interessi in comune (Feltrinelli 2008), Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza 2011), Terra ignota e Terra ignota 2 (Mondadori 2013 e 2014), Muro di casse (Laterza 2015), La stanza profonda (Laterza 2017, dozzina Premio Strega). È fondatore del progetto SIC – Scrittura Industriale Collettiva (In territorio nemico, minimum fax 2013); per minimum fax ha pubblicato anche un racconto nell’antologia L’età della febbre (2015). Dal 2013 dirige la narrativa di Tunué. Scrive sulle pagine culturali del Corriere della Sera e sul Corriere Fiorentino.
Pubblicato il: 02/05/2020 da Skatèna