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Siren 2017 Il Festival che si appropria dei luoghi

Siren 2017 Il Festival che si appropria dei luoghi

Iniziamo subito col dire che a Vasto, durante i giorni del Siren Festival, si respira un’atmosfera bellissima, che si insinua nei vicoli, nelle piazzette nei cortili e in ogni angolo del paese laddove a Luglio, da ormai 4 anni, confluiscono e si mescolano dinamicamente musica e musicisti pubblico pagante e spettatori casuali, turisti da festival ed abitanti del posto.
Credo che sia questa la potenza di un evento come il Siren: andare oltre i “non luoghi” che ospitano solitamente eventi del genere per appropriarsi di luoghi che invece hanno una vita anche al di là dell’evento, conferendogli nuove forme e nuova energia, rafforzando sinergie e creandone di nuove.
Questo festival non si limita ad ospitare sotto il suo marchio ormai collaudato alcuni degli artisti più interessanti del momento tra conferme e piacevoli rivelazioni, ma viene a sua volta ospitato da un paese che accoglie la vivace metamorfosi di quei giorni ma allo stesso tempo riesce a conferire al tutto il suo ritmo rilassato che ne fa un modello di “slow festival” che ci fa dimenticare per un attimo il caos frenetico delle metropoli e anche dei grossi festival più blasonati ma francamente più stressanti, primo tra tutti il Primavera Sound di Barcellona.
Questa quarta edizione del Festival, la terza alla quale partecipo come spettatrice, è iniziata per me la sera di Venerdì 28 Luglio quando dopo un arrivo un po’ trafelato ho provato ad avvicinare una delle location del festival, il Cortile D’Avalos aka Jäger music stage che in quel momento ospitava il live degli Allah-Las: ci ho provato ma non ci sono riuscita vista l’incredibile fila che si era formata fuori dal portone del cortile che non era stato completamente aperto, pare per motivi di sicurezza, generando l’ira funesta del pubblico che era rimasto fuori; decido così di non buttarmi nella mischia, non voglio stressarmi pure quì mi dico, e mi reco con molta calma verso Porta S.Pietro dove si colloca il piccolo palco sul quale si susseguono concerti aperti anche a pubblico non pagante. Ed è lì, con il mare alle spalle e signore in ciabatte che incuriosite si avvicinano e si chiedono “ma chi è quel baffone” che faccio la prima e più gradita scoperta di questa edizione ovvero la psichedelia con echi battistiani e di cantautorato d’altri tempi di Andrea Laszlo De Simone, che scopro essere ex membro dei Nadàr Solo e che il 9 Giugno di quest’anno ha pubblicato per la 42 Records il suo primo LP dal titolo “Uomo Donna” anticipato dal singolo omonimo seguito da “Vieni a Salvarmi” e “La Guerra dei Baci”, un album che si dissocia stilisticamente e anche nelle intenzioni dall’Indie made in italy come conferma anche l’intervista a Rockit dove il cantautore dichiara: “«non mi interessava fare un disco che fosse “generazionale”. Molti dischi che hanno questa pretesa finiscono col parlare di aperitivi o dei problemi dei trentenni, credo che ci sia un grosso vuoto di contenuti dietro, se le canzoni sono piene di queste sciocchezze.” A Vasto Laszlo De Simone ha suonato con la band al completo formata da 6 elementi e ha subito animato una folla già accaldata, me in primis, entusiasmandola lungo tutto il live nonostante alcuni problemi tecnici (pare a causa di una birra accidentalmente versata sulla sua chitarra). Sulle ultime note del live di De Simone mi incammino sempre molto lentamente verso Il live successivo così lungo il percorso ho il tempo di dare un’occhiata al merchandising ufficiale del festival e allo stand di TINALS, fantastico progetto ideato da Andrea Provinciali di cui varie volte ho già parlato anche in radio, e anche di buttare un orecchio al live di uno degli headliner della serata ovvero Ghali, il giovane rapper di origini tunisine che ha da poco pubblicato il suo disco d’esordio dal titolo “Album” e il cui brano “Happy Days” è il più ascoltato in Italia su Spotify: mi basta sapere questo e ascoltare qualche nota per prendere la decisione non troppo sofferta di spostarmi, questa volta un po’ più velocemente verso il punto di partenza, il Cortile D’Avalos, dove sta per cominciare uno dei live per i quali volevo assolutamente partecipare a questa edizione del festival: Cabaret Voltaire. Anche questo live è una scoperta, in questo caso doppia: la prima è quella che degli annunciati CV c’è solo Richard Kirk, e la seconda è che il Sig. Kirk ha tra le mani un set pazzesco fatto di Techno, dub e industrial con echi pop, nel quale le cupe sonorità tipiche dei CV vengono riattualizzate in versione dance, la strumentazione viene manipolata e sfruttata con precisione chirurgica e la divina arte del cut-up applicata sia ai suoni che agli input visivi con una solennità che ci annichilisce tutti, tutti che come me avrebbero continuato a muoversi incessantemente sotto il peso schiacciante di quelle sonorità ipnotiche. Niente cadute nostalgiche, nessuna sbavatura o cedimento: Kirk è una sorta di cyborg, un’entità algida in tutt’uno con la sua macchina. Dopo un live così un pit stop birra-bagno è d’obbligo, passo quindi velocemente dai Baustelle, anche loro headliner della serata che in quel momento stanno eseguendo una delle loro hit “Charlie fa surf” che puzza di roba andata a male e decido di passare in albergo per un veloce cambio d’abito prima dell’incontro tanto atteso per la prima serata, quello con il mio antico amore Sasha Ring aka Apparat che come Kirk si esibisce nel Cortile D’Avalos ma, diversamente da Kirk e la sua ambientazione crepuscolare e suburbano illumina l’atmosfera con quella leggerezza che lo contraddistingue, con la sua disinvoltura e il modo di essere mobile sul palco, a volte allontanandosi per lasciarci a ballare lungo un set di due ore abbondanti . Su Apparat, che ha concluso il set con il pezzo che tutto il pubblico mainstream chiedeva a gran voce, “New Error”, non ho molto altro da dire: è una garanzia, una conferma e una sicurezza set dopo set. Al Cortile D’Avalos la serata prosegue con il dj set di Ale Rapino, ma noi ci spostiamo sul mare per raggiungere il Lido Sabbiadoro, stabilimento di Vasto Marina adibito a location di set pomeridiani e tardo notturni, dove la serata si conclude con il dj set di BBdai dei Casino Royale.
Bene, forse questo reportage è già troppo lungo quindi cercherò da adesso in poi di essere più concisa: Il pomeriggio del secondo giorno ricomincia da dove ci eravamo lasciati ovvero la Siren Beach del Lido Sabbiadoro che ospita nell’ordine le sonorità blues di Old Fashioned Lover Boy, il pop melodico di Pietro Berselli, la malinconia emocore dei Gomma e l’alt-folk del songwriter Marchgiano Andrea Pulcini aka Persian Pelican; dopo qualche ora di set acustici accompagnati da piacevolissime reunion, come solo in un festival come il Siren poteva capitare a un certo punto visualizzo Sir Trentemøller , headliner della serata del Sabato, passare sotto palco in pantaloncini e ciabatte dopo una sosta in spiaggia, da me poi diligentemente stalkerato e fermato per stretta di mano con complimenti annessi come manuale dell’aspirante groupie vuole. La sera scende in fretta e dopo mare doccia e sonno tattico mi catapulto verso il main stage dove alle 20 apre la mia giovane pupilla Noga Erez con il suo beat coinvolgente per poi passare al palco di Porta San Pietro che stavolta ospita i tropicalismi di Andrea Mangia aka Populous, il producer e dj salentino che ha appena pubblicato per La Tempesta l’album “Azulejos” e che ha movimentato non poco il prime time della seconda sera di festival che prosegue con un breve passaggio da Ghostpoet con il suo misto di elettronica, blues e trip hop e il cantato spoken word che spesso rischia di sfociare in sofisticazioni hipster. Proseguo verso lo stage che mi sta dando più soddisfazioni in questa edizione che è ancora Cortile D’Avalos che questa volta accoglie gli scozzesi Arab Strap freschi di pubblicazione di un doppio album con secret hit e rarities, e le loro sonorità eterogenee che dal lo-fi passano per l’elettronica e si adagiano sullo slowcore, nei brani eseguiti con intense parti spoken da un accaldatissimo ma sempre emozionante Aidan Moffat versione “N anni dopo”. Dopo il momento “band storicachevavistalivealmenounavoltanellavita” arriva sul main stage di Piazza del Popolo l’amico Trentemøller con la sua band e un set anche qui variegatissimo che passa da atmosfere dark wave a quelle più elettroniche passando addirittura per brani di sapore pop rock, un set che laddove non è solo strumentale è arricchito dalla magica e raffinatissima voce della musa Marie Fisker che mi accompagna verso la fine di questa seconda serata. Vado via da Vasto nella mattinata del 30 Luglio, prima di andarmene però voglio ripassare un attimo nell’area dei concerti, vedere come comincia l’ultimo giorno di un festival che in realtà in paese è già considerato concluso, con i palchi già smontati e quasi tutto completamente rimosso nel centro che lentamente riprende il suo solito volto.

Maya Nancy Antonioli

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Pubblicato il: 02/08/2017 da redazioneradiocittaperta