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La lettera dell’amico immaginario di Kurt a 25 anni dalla sua morte

La lettera dell’amico immaginario di Kurt a 25 anni dalla sua morte

La lettera di Boddah, l’amico immaginario di Kurt

Di seguito, il testo emozionante della lettera che Boddah, l’amico immaginario di Kurt, gli ha scritto oggi, a 25 anni dalla sua tragica scomparsa (autrice del testo è in realtà Ilenia Volpe, che ringrazio per la sua sempre preziosa collaborazione):

Ciao Kurt, sono Boddah, il tuo amico immaginario.
Ne stanno parlando tutti oggi su internet.
Che non esisteva nel ’94 internet, epoca di camicie di flanella, illusioni, evasioni e Nirvana.

Sono passati 25 anni e io nei ricordi ci vivo da quel 5 aprile, quando ti ho visto dal mio angoletto imbracciare quel maledetto fucile.

Tornassi indietro, ti avrei chiesto di andarci a prendere un caffè, quel giorno.
O di raccontarmi un’altra volta di quando a scuola ti bullizzarono per la tua amicizia con un ragazzo gay.

Di suonarmi un pezzo del tuo adorato John Lennon.
O di portarmi sulla panchina di Aberdeen dove iniziarono i tuoi sogni di gloria.

Quella gloria che oggi mi fa piangere e rimpiangere il non averti capito. Mai.

Ne stanno parlando tutti oggi su internet e io prendo lo stereo, che nel ’94 andava tanto di moda lo stereo, premo play e ti ascolto, amico mio.

La stessa stanza, ma tu non ci sei.
I’m so happy ‘cause today i found MY FRIEND“.


Ebbene sì, oggi ricorre il triste anniversario della morte di Kurt Cobain.

Sono passati tanti anni da quando egli si tolse la vita con un «colpo di fucile autoinflitto alla testa», eppure sembra ieri.

Su di lui e sulla sua musica è stato scritto (e continua a scriversi) davvero di tutto.

Avevo 17 anni quando scoprii la musica dei Nirvana. Quelle sonorità così vecchie, ma “nuove” ed originali nello stesso tempo, mescolate in un modo come non le avevo mai sentite prima, mi incuriosirono e poi mi  conquistato o, poichè racchiudevano generi, primi tra tutti hard rock, punk e hardcore punk, che da sempre hanno fatto breccia nella mia anima musicale.

Ricordo quando acquistai il loro primo album, Nevermind: l’ho consumato quel disco sul piatto del mio stereo di allora, sparato ad alto volume nella mia cameretta affinché anche il vicinato potesse “godere” di quella musica.

Ovviamente, essendo scattata in me la fatidica, seppur momentanea, “fissa” per Kurt Cobain e i Nirvana (che però non soppiantò mai quella inamovibile per i Velvet Underground di Lou Reed), cominciai a procurarmi tutto ciò che era relativo a loro, a cominciare dai poster e dalle immagini ritagliate da fanzines/giornali con cui avevo tappezzato la cameretta, fino ad arrivare alle T-Shirts (mitica quella raffigurante i gironi dell’inferno dantesco) che indossavo spesso la mattina quando mi recavo a scuola, per non parlare dei libri sui Nirvana con i testi e le traduzioni delle loro canzoni.

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E non mancavano le mie interpretazioni del significato di quelle lyrics: specialmente di quelle facenti parte dell’altro loro album, In Utero, che mi sembrava “strano” già solo per via della copertina raffigurante un collage di feti, uteri, viscere, fiori (realizzata dallo stesso Kurt), e che in seguito fu pubblicata sul retro del disco, lasciando il posto alla donna alata che tutti conosciamo. Questo disco, il terzo dei Nirvana, che originariamente doveva chiamarsi “I hate myself and I want to die“, dalle sonorità graffianti, magnetiche, punkrockeggianti e malinconiche, contiene in effetti testi, tra l’altro per la prima volta pubblicati nel booklet, in cui vige la tecnica del cut up, sperimentata dal poeta della beat generation William Burroughs. As my bones grew they did hurt, they hurt really bad“: in questi versi è racchiusa la quintessenza di “In Utero“: il dolore.

Fantasticherie ed interpretazioni a parte, il mio album preferito dei Nirvana resta Bleach, caratterizzato da sonorità grezze e tracks spesso oscure e distorte. Ho anche scritto un articolo/recensione su questo disco, che potete leggere, se vi va, al seguente link: https://www.radiocittaperta.it/notizie/il-sound-grezzo-di-bleach-dei-nirvana/

Il periodo in cui ascoltavo la musica dei Nirvana era anche quello in cui suonavo la chitarra e mi dilettavo a trovare “ad orecchio” gli accordi delle canzoni che più mi piacevano: inutile dire che trovai tutti gli accordi di tutte le canzoni dei Nirvana, che andavo strimpellando e cantando dappertutto, poichè all’epoca io e la mia chitarra eravamo una cosa sola. E mi adoperai anche a scrivere sul mio strumento, con un pennarello nero e a caratteri stilizzati, le parole che stavano su uno sticker apposto sulla “black strat guitar” di Kurt durante alcuni dei suoi concerti.


Immagine in evidenza da: https://www.flickr.com/photos/187661405@N02/49750208577


 

 

Pubblicato il: 05/04/2019 da Skatèna